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JESI – L’Istituto di Istruzione Superiore "Marconi Pieralisi" di Jesi ha ospitato un significativo incontro con Tiberio Bentivoglio, testimone di giustizia e vittima di mafia. L’evento si inserisce in una serie di collaborazioni avviate nel 2014 con il presidio "Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie" di Jesi.
Bentivoglio, un commerciante di Reggio Calabria, da oltre 30 anni si batte contro il racket che continua a minacciarlo per non aver ceduto alle richieste estorsive della ’ndrangheta. Non è la prima volta che l’istituto jesino accoglie Bentivoglio: il primo incontro risale al 2014, seguito da altri tre, l’ultimo dei quali in videoconferenza nel 2021 a causa del Covid. Il "Marconi Pieralisi" ha anche sostenuto la campagna di consumo critico "Blu di metilene", lanciata nel 2015 a Jesi dallo stesso Bentivoglio.
L’incontro recente ha coinvolto dodici classi, dalle prime alle quinte, e ha ruotato attorno al valore etico e civico della scelta e al diritto alla libertà, alla verità e alla giustizia. Bentivoglio ha raccontato la sua scelta di libertà, la decisione di ribellarsi alle richieste mafiose con un "no deciso", consapevole dei rischi per sé e per la sua famiglia.
Negli anni Settanta, Bentivoglio apre un piccolo negozio di articoli sanitari, che nel 1992 decide di ampliare. Questo progetto commerciale attira l’attenzione del potere mafioso. Tiberio e la moglie Enza decidono di non pagare il pizzo. Seguono anni di intimidazioni e attentati, tra cui la devastazione dell’emporio nel 2003, un incendio alla struttura ricostruita e il tentato omicidio nel 2011, che causa a Tiberio danni permanenti. Il suo racconto è toccante: la paura, il dolore fisico e il primo pensiero rivolto alla moglie per non spaventarla sulle sue condizioni di salute.
Nonostante l’attentato, la coppia non si ferma, convinta che "denunciare – ha detto Bentivoglio agli studenti – è democrazia". Oggi, la loro attività si trova in un bene confiscato alla ’ndrangheta, assegnatogli in affitto dal Comune di Reggio Calabria grazie alla Legge 109/96. Un bene confiscato che è diventato un’attività legale, un potente messaggio dello Stato alla criminalità organizzata, che Tiberio e la sua famiglia, tra mille difficoltà economiche, cercano di mantenere aperta.
Nel suo territorio, qualcosa è cambiato: negli anni ’90, Bentivoglio era tra i primi a denunciare, mentre oggi il numero di imprenditori che si ribellano è aumentato, sebbene ancora troppo pochi rispetto alle indagini di polizia giudiziaria. Sono nate molte associazioni e iniziative anti racket, come "La libertà non ha pizzo" lanciata da Libera a Reggio Calabria. Bentivoglio, pur rivendicando la sua scelta, non nasconde l’amarezza. Continua a fare il commerciante a Reggio Calabria, seppur sotto scorta, ed è molto attivo nelle scuole di tutta Italia, dove porta la sua testimonianza, convinto che la conoscenza sia lo strumento culturale di prevenzione più potente contro le mafie e quei comportamenti di mafiosità sottile che, talvolta, vengono replicati anche tra gli adolescenti.
La dirigente Maria Rita Fiordelmondo ha ringraziato Tiberio Bentivoglio "per la generosità della sua toccante testimonianza, per averci dedicato il suo tempo condividendo con noi i momenti più dolorosi e difficili della sua vita personale e vicenda imprenditoriale nella volontà di lasciare ai giovani un messaggio importante di libertà e giustizia contro il silenzio, l’indifferenza, la sottomissione, da sempre strumenti di forza del potere mafioso. A questi, noi educatori rispondiamo con gli strumenti a noi più cari: l’educazione, l’informazione, la cultura".